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LA FILOSOFIA

FELICITÀ QUALE SCOPO DI VITA E FONDAMENTO ETICO

Per spiegare il concetto di Felicità useremo una parola del greco antico, eudaimonia - εὐδαιμονία (eudaimonìa) significa felicità, benessere. Come il concetto che esprime, la parola non è semplice, ma composta: 'eu' vuol dire buono, e 'daimon' ci rimanda al genio, allo spirito. Una seconda metà non meno complessa della prima, e tutta da esplorare.

Eudaimonìa è #felicità, intesa come scopo della vita ed aggancio con l'etica, qualcosa di notevolmente meno cangiante ed effimero di come siamo abituati a pensarla.

 

Una felicità, dunque, che non va e viene come il bel tempo, ma è più un progetto di vita in continua evoluzione. Una certa tensione contraddistingue l'eudaimonìa, ed è così che viene intesa, fin dall'antichità.

La pratica del piacere e l’esercizio della virtù sono i poli entro cui oscilla questa ricerca, dove ‘ricerca’ è termine altrettanto importante di ‘felicità’, e di certo non meno difficile da interpretare e realizzare.

 

Felicità è una definizione difficile da dare oggi, che ci mette quasi in imbarazzo. Sei felice? Ci viene chiesto, e talvolta ergiamo barriere di menzogne più o meno consapevoli, inventiamo concetti a coprire questo possibile imbarazzo, rimanendo immobili nei luoghi comuni.

Siamo felici se siamo sereni, senza pensieri e problemi (altra parola interessantissima, fraintesa, e che merita approfondimento) siamo felici se ci sentiamo realizzati, queste le consuete scappatoie a cui molti ricorrono, almeno una volta nella vita, se messi di fronte alla fatidica domanda.

 

Pensiamo sia riduttivo, definire la felicità come serenità o realizzazione. Non sarà forse, allora, proprio questa indefinibilità, a renderla tanto preziosa?

Non semplice felicità, ma qualcosa di prezioso e in continuo divenire. 

Gli antichi ed i contemporanei potrebbero confrontarsi a lungo, su questo concetto: più di due millenni fa questa parola era usata per indicare una vita florida. Per gli antichi infatti l'unione del ‘buono’ e del ‘genio’ significava infatti: ‘prendersi cura del proprio talento’, figurato come genio e spirito, come collegamento profondo e non volatile, a ciò che di divino c'è nell’uomo. Ecco perché i Greci, associavano l'eudaimonìa al fine ultimo dell'esistenza, a una vita “degna di essere vissuta”: nella pratica e anche nell'esercizio delle virtù - (eh già, ci vuole allenamento anche per la felicità, UNA VERA ARTE!).

La felicità è per noi quindi, una ARS • DIVINA

 

Contenti e soddisfatti, paradossalmente, ci allontaniamo dalla felicità, che è al contrario ricerca positivamente febbrile, scoperta, crescita e fecondità. Ciò che già abbiamo non ci basta, e ciò che non abbiamo forse possiamo già virtualmente vederlo come nostro, e allora ci muoviamo, cambiamo, ci trasformiamo… e siamo già sulla buona strada: quella che possiede “un cuore”.

Una strada per nulla diritta, ma rischiosa, tanto da essere poco battuta: essere felici infatti è un rischio, creare e inventare non sempre sono sinonimi di successo, mentre ad esser contenti, guarda un po’, non si sbaglia mai.

 

La ricerca della felicità ci dona il tempo, invece di sottrarcelo, restituendoCI al nostro complesso Sé, alla sua fame e alla sua sete di divenire ciò che si è, esprimendo la propria e più profonda ARS • DIVINA

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